“Ogni giorno penso al mio Paese. A coloro che sono lì, e stanno lottando, rischiando la vita, per la libertà. E piango”. La sofferenza si legge sul viso di Layla. Nei suoi bellissimi occhi scuri. Il nome è di fantasia, perché teme ripercussioni per i suoi famigliari rimasti in Iran, ma la sua storia è vera. Ed è una storia che racconta di sopraffazione, di “lavaggi del cervello” fin da quando si è bambini, di un Paese che vive nella paura. Una storia in cui le donne soffrono di più.
“Da quando ero piccola – racconta Layla – dovevo pensare bene a come vestirmi quando uscivo di casa. Perché bastava un pantalone un po’ più corto per essere arrestati e portati in una caserma dalla quale c’era un forte rischio di non uscire più. Come è successo a Masha Amini e a tanti altri”.
Partiamo di qui, anche se a distanza lei segue la situazione nel suo Paese: cosa sta succedendo in Iran?
“La repressione è fortissima. Chi si espone è in pericolo. E chi si espone anche risiedendo all’estero, mette in pericolo i propri famigliari. Però, nonostante questo, tante persone continuano a protestare. Giovani, donne, vanno in piazza tutti i giorni per testimoniare il loro dissenso, ben sapendo che si assumono rischi enormi. I ragazzi prima di scendere in piazza scrivono tweet in cui dicono ‘so bene che potrei non tornare, ma non posso non protestare’. E’ commovente”.
La protesta è iniziata proprio dopo l’uccisione di una giovane donna per una ciocca di capelli… Com’è essere donna in Iran, in questo momento?
“E’ davvero difficile. La donna in Iran per legge conta metà dell’uomo. E per essere donne bisogna essere molto, molto, ma molto forti. Recentemente alcune donne hanno fatto anche carriera politica, sono arrivate in Parlamento, ma solo perché hanno aderito a quel modello che mortifica le donne stesse e tutte le libertà. Ricordo che quando ero bambina mia madre mi guardava prima che uscissi, valutando la lunghezza dei pantaloni e ogni piccolo particolare, per non farmi essere in pericolo. Mia sorella, due anni più grande di me, soffriva ancora di più questa cosa e spesso tornava a casa piangendo. Fin da quando si era bambini, tutte le mattine dovevamo stare mezz’ora in fila nel cortile della scuola e gridare ‘morte all’America’. Ogni giorno ci veniva ripetuto ‘tutto il mondo vi vuole male, solo noi vi vogliamo bene…’. Era un continuo lavaggio del cervello. E’ stata molto dura crescere così. E’ stato un incubo”.
In Occidente, al contrario, vi è una mercificazione del corpo femminile, che ne pensa?
“Ognuno deve essere libero di vestirsi o spogliarsi come ritiene, e le persone non vanno valutate per come sono vestite, ma per quello che pensano e per come sono”.
Lei pensa che l’ondata di proteste adesso in atto nel suo Paese possa avere un esito positivo.
“Ne sono convinta. Quello che sta succedendo in questi quattro mesi non ha precedenti. Solo tre anni fa in Iran sono stati uccisi centinaia di ragazzi e nessuno ha saputo e fatto nulla, ora invece le persone protestano, anche mettendo a rischio la propria vita. Un popolo che ha assaggiato la libertà non ne può essere privato all’infinito: prima della ‘rivoluzione’ del ’79 lo Scià aveva liberato il popolo, consentito l’emancipazione femminile, oltre ad aver dato impulso all’economia, e questo ha fatto paura a molti, anche all’Estero. Perciò è stato fatto cadere. Comunque ora anche i governanti dell’Iran si stanno accorgendo che qualcosa è cambiato”.
Pensa che si possa raggiungere un compromesso con loro?
“No, se ne devono andare. Hanno fatto troppo male…”.
Cosa possiamo fare noi italiani per aiutare?
“Parlare. Intervenire. Anche una sola voce di dissenso dal regime è utile. E su questo vedo che qualcosa si sta smuovendo. Quando qui in Romagna facciamo qualche iniziativa vedo persone che conosco che partecipano. Mi fa molto piacere e ci fa sentire meno abbandonati. Poi c’è anche un altro aspetto: i proiettili di plastica che la polizia iraniana spara sui ragazzi sono prodotti in Italia… Sarebbe importante che tutti i Paesi si rendessero conto di quanto sta accadendo nel mio Paese, e agissero di conseguenza. Un’altra misura diplomatica forte, da parte del Governo italiano, sarebbe chiudere i consolati iraniani in Italia”.