Sono in maggioranza fra medici e infermieri. Eppure guadagnano meno e faticano a far carriera. “Abbiamo avuto grandi conquiste. Ma oggi serve uno sprint”, dice Monica Calamai, direttrice generale dell’Ausl di Ferrara, fondatrice e coordinatrice della Community “Donne protagoniste in sanità”, che il 23 e 24 giugno si ritrova per un evento a Bologna (all’Hotel Savoia Regency) per parlare di questi temi. Dal “gender pay gap”, cioè la differenza di stipendio tra due professionisti che indossano lo stesso camice, alla prevenzione fino alla premiazione delle aziende pubbliche e private che più spingono per abbattare le disuguaglianze di genere.
Lei da quanti anni è direttrice di un’azienda sanitaria?
“Quasi venti. Quando ho iniziato ero una mosca bianca. Ho fatto fatica, e vorrei evitarla ad altre donne”.
Essere donna è stato più faticoso?
“Ha comportato un lavoro estremo, il dover dimostrare sempre di dover valere dentro un mondo maschile”.
Ricorda episodi spiacevoli?
“Una volta ero in ascensore. Mi presentai a una persona e… fu più forte di lui. Davanti a tutti disse: ‘Cosa, una donna?’. E io: ‘Sa com’è, a volte capita’. Ricordo anche una riunione sul bilancio con un presidente di Regione e il suo staff, tutto maschile. Mi disse: ‘Vedi che c’è la parità di genere?’. Risposi: ‘La parità ci sarà quando riuscirai a nominare una direttrice stupida come tanti direttori maschi’. Ci fu un attimo di silenzio, poi si mise a ridere. Diciamo che ero giovane e incosciente, ma quelle parole le penso ancora”.
Perché fondare una community?
“E’ nata un anno fa, aderiscono già 1.400 professioniste in tutta Italia dentro il mondo della sanità. Si occupa di percorsi sanitari e aree tematiche, l’anno scorso abbiamo presentato un progetto in Senato, uno dei temi che affronteremo quest’anno è quello del gender pay gap“.
A Bologna la percentuale di donne medico è del 65%. Ma solo 3 su 10 hanno incarichi importanti. E arrivano a guadagnare il 20% in meno degli uomini.
“E’ così anche a Ferrara. Noi abbiamo attivato un percorso diviso in due momenti: il primo anno la realizzazione di un bilancio di genere, per poi arrivare nel 2023 a una certificazione, prevista dalla legge”.
Un “bollino” che certifichi il rispetto dell’uguaglianza. Questa “piramide” che le donne faticano a scalare fa parte degli indicatori?
“Certo. C’è un grande lavoro da fare. La differenza di stipendio, per esempio, deriva da tante motivazioni, compreso il fatto che una donna generalmente riesce a fare meno attività aggiuntiva. Perché magari deve assistere i genitori, i figli e non ci sono servizi di supporto”.
Perché permangono queste differenze?
“Ha presente il libro Da animali a dèi? Tutte le società hanno sempre avuto in comune una cosa: la posizione gerarchica del genere femminile. Abbiamo avuto grandi conquiste ma oggi serve uno sprint. Ci sono più attori che devono intervenire fin dall’asilo per impostare un approccio diverso. E la sanità è un settore che è sempre stato capace di mettersi in discussione”.
Quali sono i temi da affrontare subito in sanità?
“Le differenze stipendiali, i percorsi di carriera, la creazione di infrastrutture che possano facilitare la presenza al lavoro, come la creazione di asili nido. Non è banale. Si tratta di un percorso, vedo fermento e mi piace molto”.